Da Robert Redford a Mina, da Humphrey Bogart a Nereo Rocco.
Il 18 agosto scorso il mondo del cinema ha festeggiato l’86esimo compleanno di uno dei suoi protagonisti più amati e impegnati, Robert Redford. Una carriera luminosa, punteggiata dalla collaborazione in oltre sessant’anni di attività con alcuni tra i più grandi Maestri del grande schermo, ma segnata anche da un incontro mancato: quello con Federico Fellini. Le loro strade avrebbero potuto incrociarsi in occasione de Il Casanova: Dino De Laurentiis, il primo produttore del film che poi abbandonò, voleva infatti un divo americano. Si fecero i nomi di Michail Caine, Jack Nicholson, Paul Newman e appunto Robert Redford. Fellini pensava invece a un italiano: Gian Maria Volontè, Vittorio Gassman, Alberto Sordi o l’eterno candidato a un ruolo felliniano, poi mai indossato, Ugo Tognazzi (già provinato, con strascichi giudiziari, nel progetto del Mastorna). La scelta, come noto, cadde poi su Donald Sutherland.
“In oltre quarant’anni dietro la macchina da presa, Federico Fellini oltre a mettere la firma su alcuni dei capolavori del cinema mondiale, ha contribuito a consacrare, talvolta innalzandoli a divi, tanti attori e attrici da lui diretti sul set - racconta il responsabile del Fellini Museum Marco Leonetti - Personaggi in molti casi diventati iconici, così come gli interpreti che hanno prestato voce, corpo e talento per dare forma all’immaginario e ai desiderata del Maestro riminese. Incontri artistici trasformati anche in sodalizi, come nel caso di Marcello Mastroianni assurto a ruolo di alterego di Fellini. Eppure, nonostante il successo planetario ottenuto da La dolce vita, Mastroianni per ottenere la parte di Guido, protagonista di 8½, dovette vincere la concorrenza di due mostri sacri della recitazione come Laurence Olivier e Charlie Chaplin”.
Tanti sono stati gli incontri artistici mancati, solo ipotizzati, cercati e poi sfumati, quelle sliding doors che segnano la storia del cinematografia mondiale, compresa quella felliniana.
Come Mina e Totò: Fellini li ha corteggiati, ma non è mai riuscito a portarli in un suo set. Il regista aveva pensato ad entrambi per Il viaggio di G. Mastorna: il ruolo di Beatrice per la cantante, quello del becchino per il comico. Del Mastorna però, come è noto, non se ne fece nulla: il film mai fatto più celebre della storia del cinema.
Fellini aveva pensato a Mina anche per un altro ruolo: quello di Trifena, la moglie di Trimalcione nel Fellini Satyricon. La parte del libertino arricchito, prima di essere affidata all’oste romano Mario Romagnoli e causa della rottura con Aldo Fabrizi, fu invece proposta a Bud Spencer.
L’allenatore Nereo Rocco fece catenaccio alla proposta di Fellini di interpretare il padre di Titta in Amarcord, nel cui cast doveva far parte anche Edwige Fenech come Gradisca, ma rispetto a Magali Noel, pare fosse ritenuta meno prosperosa e per questo, a un passo dalla firma del contratto, rifiutata.
Prima che la scelta cadesse su Alain Cuny, per il ruolo dell’intellettuale Steiner ne La dolce vita, De Laurentiis premeva ancora una volta per un americano, Henry Fonda; Fellini, che pensava allo scrittore Elio Vittorini o all’attore Enrico Maria Salerno, si oppose e il produttore lasciò il progetto ad Angelo Rizzoli e a Giuseppe Amato. Tra i nomi che circolarono per il ruolo anche quello di Peter Ustinov. Non fu immediata neppure l’attribuzione del ruolo di Emma a Yvonne Furneaux e quello di Maddalena ad Anouk Aimée, sempre ne La dolce vita: Gina Lollobrigida era tra le favorite nella parte della tormentata fidanzata di Marcello, ma giocò contro la gelosia del marito, mentre con l’uscita di scena di un altro marito, il già citato produttore del film Dino De Laurentiis, crollarono le probabilità di Silvana Mangano di interpretare la ricca e annoiata amica del protagonista.
Alla Mangano non era andata bene neppure qualche anno prima, quando sempre l’attivissimo marito tentò di imporla come protagonista de La strada, ma il ruolo di Gelsomina era già assegnato, prima ancora che il soggetto venisse scritto. Anche la scelta dei due protagonisti maschili del film che diede a Fellini e alla Masina una notorietà mondiale e che valse al regista riminese il primo dei cinque Oscar, non fu facile: Burt Lancaster sembrava perfetto per il ruolo di Zampanò come Walter Chiari per quello del matto, ma alla fine prevalsero Anthony Quinn e Richard Basehart.
Se quello di Peter O’Toole fu il primo volto dell’attore alcolizzato di Toby Dammit, quello di Humphrey Bogart lo è stato del truffatore Augusto de Il bidone: ruoli poi interpretati rispettivamente da Terence Stamp e William Broderick Crawford, che un debole per il whisky lo aveva davvero.
Fu sondata anche la disponibilità di Vittorio De Sica per il ruolo del capocomico de I vitelloni, il regista di Miracolo a Milano e Umberto D. ci pensò su ma alla fine, e precisando di non aver pregiudizi verso la parte che gli veniva offerta, cortesemente declinò.
Poi ci sono gli attori immaginati per progetti di film mai realizzati, oltre al Mastorna di cui si è già detto: Montgomery Clift per “Le libere donne di Magliano”, Gregory Peck e Sophia Loren per “Viaggio con Anita” (o “Viaggio d’amore”) e Walter Matthau per “Duetto d’amore”.