Cinque anni dal primo contagio Covid: il dolore, i numeri, gli investimenti e il futuro

Il ricordo delle vittime e la riflessione dell'Assessore alle Politiche per la Salute, Kristian Gianfreda.

Data di pubblicazione

“Cinque anni esatti. 1.824 giorni dopo la scoperta del cosiddetto 'paziente 1', una persona residente in un Comune della Valconca. Quale bilancio possiamo tracciare, a un lustro di distanza, della pandemia di Coronavirus in provincia di Rimini? Il 'contatore' dei contagi, da quel 2020 che ha sconvolto il mondo a oggi, segna 196.373 casi: il 58% della popolazione residente ha contratto il virus almeno una volta. E per quanto riguarda l’ambito comunale, si parla di 88.681 notifiche, 75.368 persone contagiate e 3.426 persone con almeno un ricovero. Ma è il dato sulle vittime a restare la lesione più dolorosa, il marchio di questa tragedia collettiva: 694 vite spezzate che, come città, porteremo sempre nel cuore e nella memoria.  

Il Covid è una ferita ancora aperta, che ha segnato profondamente il tessuto sociale, economico e sanitario delle nostre comunità. Una ferita che non si cicatrizzerà mai completamente, perché con essa se ne sono andati via parenti, amici, colleghi, conoscenti. Concittadine e concittadini che hanno lasciato un vuoto incolmabile nella nostra comunità, in quel silenzio assordante che ha riecheggiato per mesi nelle strade, nelle piazze vuote e nelle case di chi ha dovuto affrontare il dramma del lutto in solitudine. Abbiamo vissuto un periodo che può essere paragonato a un uragano, un evento che ha travolto tante certezze, lasciando dietro di sé una scia di dolore e lutti. 

Eppure, ci siamo detti più volte che da questa esperienza ne saremmo usciti migliori. Ora, a distanza di cinque anni, possiamo chiederci se questo sia davvero accaduto. 

Nel pieno dell’emergenza, il nostro sistema sanitario ha risposto con ogni mezzo possibile, dimostrando una forte capacità di adattamento e di reazione. Grazie alla dedizione e al sacrificio di medici, infermieri, operatori sanitari e volontari, siamo riusciti a fronteggiare una crisi senza precedenti. Anche sul piano materiale, sono stati messi in campo investimenti infrastrutturali e tecnologici di portata eccezionale. La fornitura di dispositivi di protezione, il potenziamento delle terapie intensive, la conversione di strutture in nuovi presidi sanitari e ricoveri, le assunzioni straordinarie di personale, la distribuzione di tamponi, la digitalizzazione e la telemedicina sono stati elementi chiave. 

Questi investimenti sono stati funzionali, necessari, e in molti casi hanno lasciato presidi e strumenti ancora oggi preziosi.  

Tuttavia, la straordinarietà di queste azioni ha avuto un costo. Oggi ci troviamo a gestire un'eredità complessa, fatta non solo di innovazioni, ma anche di debiti accumulati e di un sistema che, sotto il peso dell’emergenza, ha mostrato i suoi punti di fragilità. Le spese sostenute gravano ancora oggi sui bilanci della sanità pubblica e delle Regioni, rendendo indispensabile una pianificazione attenta per evitare tagli. 

Se c’è un aspetto che la pandemia ha reso evidente in modo innegabile, è l’importanza della medicina territoriale.  

Per troppo tempo il modello sanitario ha privilegiato un approccio centralizzato, basato principalmente sugli ospedali come fulcro della cura. L’emergenza Covid ha mostrato i limiti di questa impostazione, evidenziando la necessità di avvicinare l’assistenza ai cittadini e di creare percorsi di cura diffusi.  

Ed è proprio su questo fronte che oggi, come amministrazione comunale, insieme ad AUSL e Distretto, stiamo lavorando per riorganizzare e ripensare il nostro sistema sanitario locale allo scopo di dare forma a una sanità più capillare, accessibile e integrata. 

Stiamo investendo nel potenziamento dell’assistenza domiciliare (come, ad esempio, sugli Infermieri di Famiglia e di Comunità), affinché i cittadini possano ricevere cure adeguate senza dover necessariamente ricorrere agli ospedali, evitando così il sovraffollamento dei reparti e garantendo maggiore continuità delle cure, con un occhio di riguardo soprattutto verso i pazienti fragili e cronici. Allo stesso tempo, stiamo lavorando per creare nuovi presidi sanitari sul territorio, attraverso le Case della Comunità, dove si integrano servizi medici, specialistici e assistenziali. A queste si affianca poi il modello dei Nodi territoriali, un’innovazione riminese, portata avanti con l’Università di Bologna, finalizzata alla realizzazione di una rete di servizi che garantisca una presa in carico più tempestiva e coordinata dei pazienti, evitando frammentazioni e ritardi. 

Ma per rendere tutto questo realmente efficace, non basta l’impegno dei singoli territori. 

Serve una strategia di lungo periodo, che sia sostenuta da risorse economiche adeguate e da una visione chiara a livello nazionale ed europeo. Le amministrazioni locali possono e devono fare la loro parte, ma è essenziale che vi siano indirizzi politici precisi e strumenti di finanziamento certi, affinché il ripensamento della sanità in chiave di prossimità diventi una realtà concreta e realmente funzionante. Non possiamo permettere che l’esperienza della pandemia venga ridotta a un ricordo scomodo. Dobbiamo dare gambe a quanto imparato, utilizzarlo per costruire un sistema sanitario più forte, digitalizzato, trainato dalla vocazione pubblica. La salute è un diritto fondamentale e non può dipendere dalle emergenze: deve essere garantita sempre, con una programmazione seria e lungimirante”.

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Ultimo aggiornamento

20/02/2025, 15:00