La commovente storia di Franco, detto "Franchino".
Caro Direttore,
Il Natale segna il tempo anche di tante storie piccole e memorabili, raccontate magari sul filo della commozione. Chi si dedica alle persone fragili ha un’occasione in più rispetto agli altri di trasformazione personale: si confronta ogni giorno con trame di vita difficili, dolorose, talvolta crude, in cui però, l’impegno, la fatica e il sudore sono un fattore trasformativo per sé e per chi si aiuta, che ci sia un ‘il lieto fine’ o meno. Un compito silenzioso, svolto quotidianamente senza riflettori. L'onore nei confronti di chi ce la sta facendo e verso chi si impegna affinché le persone possano farcela, vorrei sintetizzarlo nella storia del nostro Franco, soprannominato affettuosamente Franchino.
Scelgo Franco perché a Rimini lo conoscono in tanti.
Per anni e anni, dal 2005, ha vissuto in strada, soprattutto nel centro storico, tra piazza Tre Martiri e piazza Cavour.
Girava con i panni logori, consunti, sempre gli stessi. Aveva un modo diffidente, sua caratteristica ormai nota ai più. Non chiedeva carità e, anche chi si avvicinava gentilmente e con tutte le buone intenzioni per offrigli qualcosa veniva regolarmente ricambiato con uno sguardo contrito e uno sbuffo. Franchino ha sempre voluto pagare le sue cose in autonomia. L’indipendenza era il suo orgoglio e la sua gabbia. L’unica cosa che poteva accettare erano le immancabili sigarette, la solo ‘compagnia’ che gradiva con sé.
A febbraio Franco, però, è stato male. Già da mesi non stava bene, ma nonostante i ripetuti tentavi di aiuto, continuava a rifiutare ogni intervento di soccorso fino a quando non è stato ricoverato all’Infermi per un lieve malore. Molti, da quel giorno, non vedendolo più gironzolare per le strade cittadine e i suoi soliti luoghi, hanno temuto il peggio.
Invece Franchino, oggi, sta bene. Quel giorno, infatti, siamo riusciti ad attivare in sinergia tutti i servizi necessari insieme all’Ausl e al terzo settore. Così Franchino ha cominciato una nuova vita e quest’anno trascorrerà il suo primo Natale davanti a un albero, avvolto dal calore della sua nuova casa e famiglia: la Capanna di Betlemme, dove, a seguito del rilascio dall’ospedale, è stato accolto con premura da volontari e operatori che gli hanno aperto le porte cercando non solo di dargli un tetto e un posto dove ripararsi, ma di farlo sentire il più possibile a suo agio.
Da sempre refrattario al contatto e al dialogo con gli altri, i volontari all’inizio temevano potesse scappare, invece una volta lì, passo dopo passo, si è instaurato una grande e quasi commovente complicità, a tratti intangibile, tra sorrisi e piccoli ghigni d’intesa, che sono la sua dimostrazione di affetto. Tra caffè e yogurt, che lui adora.
Arrivato che pesava 30 chili, ora Franco per molti, quando lo incrociano per strada, è quasi irriconoscibile con il look rinnovato e i capelli corti. Oggi vederlo così, circondato dall’amore e dall’affetto degli operatori della Capanna di Betlemme dove tutt’ora vive, è una carezza al cuore che riassume l’instancabile lavoro delle associazioni, degli operatori e dei volontari del terzo settore, delle assistenti sociali e degli operatori sanitari che, con la loro dedizione e professionalità, dimostrano come la cura verso l’altro possa davvero cambiare l’orizzonte e la vita di tanti. In tanti sono ancora oggi in strada, ma vedere Franchino fa bene a tutti, anche a chi è ancora solo. È da qui che dobbiamo sempre ripartire per apprezzare e migliorare la solidità e il valore di una comunità, in cui le realtà del terzo settore e la capacità di cura delle istituzioni sono un faro luminoso contro l’isolamento e la solitudine.